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IDENTITÀ E SOCIETÀ

Come reagire davanti a discussioni o conflitti tra studenti derivanti dall’esposizione di simboli religiosi nella scuola pubblica?

Situazione osservata

Sono stati segnalati alcuni episodi di accesa discussione in merito all’esposizione del crocifisso nelle scuole pubbliche e all’indossare il velo islamico da parte di alcune studentesse.

Risposte possibili:

Scuola di tutti

Come già scritto nel caso precedente, la scuola pubblica italiana è la scuola di tutti, indipendentemente dalle appartenenze culturali e religiose. Il mondo scuola ha il dovere e la responsabilità di dotare gli studenti di un ambiente sicuro e accogliente affinché possano apprendere nel miglior modo possibile in un contesto laico e plurale.

Il crocifisso a scuola

Per quanto concerne il tema dell’esposizione del crocifisso a scuola, ad oggi i regi decreti degli anni Venti in materia sono da considerarsi ancora in vigore. Nonostante alcuni pronunciamenti giuridici in senso contrario, la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche è da considerarsi ancora compatibile con il principio di laicità per le leggi italiane. A questo proposito, una direttiva del MIUR del 2002 (protocollo n.2666) attesta che debba essere «assicurata da parte dei dirigenti scolastici l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche».[1] Nel 2011, una sentenza della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che l’esposizione del crocifisso non viola le norme della Convenzione dei diritti dell’uomo.[2] Alla base di questo pronunciamento sembra esservi la considerazione che, secondo la Corte, tale esposizione non ha effetti concreti sullo sviluppo educativo e personale dei più giovani e che il crocifisso può essere considerato quale simbolo di principi e valori che hanno portato alla fondazione della democrazia e della civiltà occidentale. A settembre 2021, le sezioni unite civili della Corte di Cassazione hanno sentenziato che la via maestra da percorrere, in caso di controversie legate all’esposizione del crocifisso in classe, sia quella dell’«accomodamento ragionevole», intendendo esplicitare che occorre ricercare insieme «una soluzione mite, intermedia, capace di soddisfare le diverse posizioni» della comunità scolastica senza escludere, in caso di richiesta, la possibilità di esporre simboli di altre religioni. [3]
Al di là degli aspetti legali, gli insegnanti che si trovano a dover gestire discussioni su questo tema possono utilizzare l’emergere della questione per proporre agli studenti e alle studentesse alcuni approfondimenti durante le ore di religione, di storia e di arte, ponendo il crocifisso anzitutto come parte della storia del mondo.

[1] È possibile leggere la direttiva al seguente link: https://archivio.pubblica.istruzione.it/normativa/2002/dir31002.shtml

[2] È possibile leggere la sentenza a questo link: https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_20_1.wp?facetNode_1=0_8_1_71&facetNode_2=1_2(2009)&previsiousPage=mg_1_20&contentId=SDU157180

[3] A questo proposito si veda, Crocifisso in aula, la Cassazione: la scuola decida in autonomia «La Repubblica», 10 settembre 2021, https://www.repubblica.it/cronaca/2021/09/10/news/crocifisso_in_aula_la_cassazione_la_scuola_decida_in_autonomia-317185214/ 

Il velo islamico

In tema di velo islamico, manca ad oggi in Italia una normativa esplicita in materia. A questo riguardo è importante tenere presente che quando si parla di “velo islamico” si utilizza un termine generico che non dà conto delle numerose varianti esistenti. Le tipologie di velo più note sono le seguenti:

 

  1. Hijab: è la forma più comune del velo indossato dalle donne musulmane di tutto il mondo. Copre i capelli, il collo e talvolta le spalle. Lascia il viso scoperto.
  2. Chador: indossato principalmente in Iran, di dimensioni più grandi rispetto all’hijab e spesso nero. Lascia il viso scoperto.
  3. Niqab: un velo a copertura integrale che nasconde tutto tranne gli occhi. Diffuso nei paesi del Golfo Arabico ma anche nel resto del mondo, sotto l’influenza dell’Islam wahhabita.
  4. Burqa: Essenzialmente indossato in Afghanistan, questo velo copre tutto il corpo e nasconde gli occhi dietro una griglia intrecciata.

 

Ai fini di questa guida, la differenza principale tra le tipologie di velo è data dal tipo di copertura. Vi sono veli che coprono fondamentalmente solo i capelli delle donne e altri che invece apportano una copertura integrale. Portare l’hijab a scuola, ad esempio, non contrasta con alcuna norma giuridica italiana. Indossare il niqab o il burqa, invece, seppure in presenza di vuoti legislativi importanti a questo proposito, può esporre le alunne ad un contrasto con la legge italiana del 22 maggio 1975, n.152, recante «Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico». Tale legge afferma che

 

È vietato l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo. Il divieto si applica anche agli indumenti.

 

In merito al burqa, ad esempio, tale legge comporta che sia vietato partecipare a manifestazioni in luogo pubblico (tranne quelle di carattere sportivo che tale uso comportino) indossandolo. Negli altri casi, indossare il burqa rientra invece, secondo il Consiglio di Stato, all’interno dei “giustificati motivi”[1] (in questo caso il motivo è quello religioso-culturale) e non è pertanto da considerarsi vietato.

 

Dal punto di vista religioso, è importante notare che circa l’obbligatorietà dell’utilizzo di veli/abiti a copertura integrale del volto della donna nell’Islam non vi è unanime consenso.

 

È sempre importante che insegnanti e operatori del sociale, nell’ottica di tutela dei giovani/studenti/accolti, possano dialogare con essi laddove emergano casi legati a discriminazione religiosa o casi in cui la giovane interessata sia costretta da altri a indossare tale velo/indumento contro la propria volontà e con sua sofferenza.

 

[1] Consiglio di Stato, Sezione VI, Sentenza n. 3076 del 19 giugno 2008. Sentenza consultabile al seguente link: https://www.miolegale.it/sentenze/consiglio-stato-vi-3076-2008/

 

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